Il viaggio dei sensi continua attraverso la Basilicata
Una regione che ti riattiva i sensi: la Magna Grecia
Come nei cartoni animati giapponesi la scritta a fine puntata つつく(tsutsuku-continuare) lascia sospesa la storia narrata, così abbiamo fatto con la prima puntata dedicata al viaggio tra punta e tacco dell’Italia. Un viaggio che da studio è diventato un viaggio dei sensi, tutti riattivati quasi prepotentemente dalla stagione in corso in questa zona. Sensi che i panorami risvegliano, spalancando gli occhi, arieggiando le narici, stiracchiando le orecchie mentre assapori il nettare che queste terre sapientemente coltivate fornisce, bianco, rosso o rosé che sia.
Viaggio dei sensi diretto in Basilicata, la terra dei mille verdi, che riprende e affianca la regione che le sta a est, la Puglia, e che in un continuo susseguirsi di paesi lungo mare si mescola impercettibilmente alla Calabria. Sensi ancestrali che arrivano da luoghi che hanno una storia legata alla Grecia antica, che si tramandano in terre ancora intatte e che insieme alle rovine sono testimoni della lunga storia di questi territori. Luoghi tornati alla ribalta, ma molto più spesso dimenticati, rimasti imprigionati in epoche a noi ormai lontane, dove il tempo sembra essersi fermato in un periodo di calma e serenità, dove la fretta non la si conosce e si parla ancora con il vicino. Paesi in cui il turista lo si riconosce da lontano, che incerto sui suoi passi intralcia la strada che quotidianamente è calpestata da piedi che la percorrono conoscendone ogni sconnessione e guardata da occhi ormai ciechi alle sue bellezze. Realtà toccate da catastrofi che dopo decenni ancora si intravvedono negli edifici e si percepiscono nelle parole della gente che le ha vissute, che mostra senza vergona le cicatrici che ancora ne solcano l’animo.
Magna Grecia, terra vera, viva, contraddittoria: generosa e punitiva, ricca e povera, all’avanguardia o dimenticata.
E si poteva iniziare solo dal capoluogo culturale di questa regione: Matera. Se ben ricordate, abbiamo incontrato quattro ragazzi in una delle cantine in Puglia, coi quali abbiamo pranzato e che ci stanno attendendo nella città dei sassi. La sorpresa è immensa quando scopriamo il loro locale…ma ancora un po’ di souspance ve la lasciamo, poiché Matera merita una grande parentesi tutta per sé.
Una città che finché non visiti, non puoi capire e neppure immaginare. Sassi, mattoni ricavati da rocce, o grotte scavate nella montagna…sasso, parola troppo banale per descrivere quello che ci attende nella camminata accanto ad uno dei tantissimi B&B che contornano la città vecchia. Arrivando in auto dalla Puglia, sembra quasi di affossarsi in un paese in fermento, trafficato, rumoroso…e i nostri sensi cominciano a desiderare di ritornare nella campagna pugliese. Ma quando scendi i primi scalini che ti conducono in un paese incantato, capisci perché è stata scelta come capitale della cultura europea nel 2019. Un mondo fatato, dai grigi più disparati, accecanti al sole quando le costruzioni sono appena state ristrutturate, o polverosi, quando si percepisce che l’abitazione è stata vissuta soprattutto dal tempo. Una camminata iniziata col sole e terminata nella notte profonda, in cui le luci hanno giocato con l’orizzonte, dando ai nostri occhi la possibilità di cogliere le sfumature vive dei sassi. Gradini, torrette, piazze che riservano tutti scorci difficili da cancellare dalla retina. Ed un panorama, giù, ripido nella gola profonda in cui scorre il torrente Gravina e su cui svetta questa città incantata, protetta dalla parete che si erge di fronte, alta, e che termina in un belvedere.
Matera, città in cui i sensi sono chiamati da diversi punti, che ti disorienta se guardata in un solo colpo d’occhio, ma che ti culla se visitata nelle viette più disparate. Una continua scoperta di stili che sceso il sole lasciano posto a mille luci calde, affioranti da pertugi e vicoli, dalle proprietà rilassanti. Ed il ritmo cardiaco rallenta. Perdersi per poi ritrovarsi, questo il modo migliore per uscire dagli itinerari turistici. Perché qui turismo non ne manca! Ma quanto stiamo per scoprire è qualcosa di inaspettato. Dopo aver cenato a tarde ore in un ristorante consigliatoci dai nostri nuovi amici e giusto di fronte al loro locale, chiuso per turno, è arrivato il momento di fare visita a L’enoteca dai tosi, tipico nome veneto e che ci riconduce alle origini del gestore e del suo braccio destro, a noi molto familiari e vicine. Uno spettacolo architettonico, tutto per noi. Un locale nascosto alla vista della gente, ipogeo, in cui la lunga scalinata che porta alla cantina è studiata per far ambientare i sensi del visitatore. Abbagliato dal candore del tufo e rapito dai tocchi verde biliardo delle lampade a soffitto e di alcuni oggetti d’arredo, scendi con occhi sempre più grandi per lo stupore, orecchie ovattate dal silenzio del caso, palpitazioni sempre più elevate per l’eccitazione di aver scoperto che al mondo esistono locali simili, e tu ci sei dentro, ed una salivazione sempre più acuta, in attesa di degustare il tuo vino rigorosamente italiano. Una visita esclusiva, una sorpresa continua, che ci porta a decidere di tornarci non appena possibile, per degustare non solo i vini, ma anche la cucina dello chef!
Lasciamo Matera con la convinzione che una giornata non sia sufficiente per apprezzarla a dovere, ma il nostro itinerario va rispettato. Facciamo presto a restare nuovamente compiaciuti dalla Basilicata, poiché scopriamo che le strade che tanto mi avevano descritto come inefficienti, sono l’esatto opposto. O almeno noi abbiamo trovato una facilità nello spostarci da una città all’altra quasi disarmante! Superstrada praticamente vuota! Direzione è il Vulture, mecca del Barolo del sud, o meglio chiamato Aglianico del Vulture. Quel vino, tra i primi assaggiati durante i miei studi, che ancora ricordo e che mi ha talmente colpito da farmi decidere di venire in vista almeno una volta nella vita in questa zona.
E prima di tutto scegliamo di dirigerci verso l’alloggio. Saremo finalmente fermi per due notti nello stesso posto, quindi prendere possesso ed orientarci in zona ci sembra la cosa migliore da fare. L’Agriturismo Il Riccio ci è stato sapientemente consigliato da Elena Fucci ed è una vera punta di diamante del territorio. A nord dei Laghi di Monticchio a Rionero, due ragazzi hanno deciso di dedicarsi ad un’attività che comprende ristorante e camere, fattoria didattica e organizzazione di pranzi per cerimonie. Arriviamo in pieno svolgimento di una giornata dedicata a bambini delle elementari curiosi ed eccitati dal posto ed incontriamo subito Antonio e Stefania che hanno preso in gestione il posto e che l’hanno trasformato. Due giovani che dopo gli studi in altre città, hanno deciso di tornare ed investire in quella che è la terra che ha dato loro i natali. Quando la passione ed il sentimento ti legano al lavoro, il risultato è solitamente eccellente. Così è in questo caso, in questo casolare rustico, che accoglie come se fossi a casa, sia nei gesti, sia nell’aspetto, sia nelle pietanze. Animali da cortile, cani, coltivazione di prodotti locali che poi ritrovi nei piatti. Una filosofia di sostenibilità e di risalto del territorio decisamente vincente. E la qualità non stenta a mancare sia nella colazione sia nei pranzi e nelle cene. Il periodo è caldo, ci sono comunioni e cresime alle porte, ma i ragazzi ci dedicano del tempo e si vede che lo fanno perché a loro piace proprio comunicare. Un posto fuori dagli schemi e per posizione e per gestione, ma decisamente unico. Se questa è l’accoglienza che il Vulture ci regala, siamo curiosi di conoscere di più.
Così è nella prima cantina, d’obbligo un’istituzione del territorio e colei che ha fatto conoscere l’Aglianico del Vulture anche fuori confine regionale. Le Cantine del Notaio ci attendono con una visita nelle loro “segrete”. Una storia lunga quella che le riguarda, come quella della viticoltura del luogo. La famiglia Giuratrabocchetti, giunta alla settima generazione in azienda, si tramanda amore, rispetto e cultura del fare. Ed è proprio grazie a questa cultura che Gerardo decide di investire in studi che possano dare risalto al vitigno principe della zona: l’aglianico. Il Vulture, vulcano spento, ha lasciato come eredità non solo i due laghi di Monticchio, ma anche suoli scuri, di tufo, ricchi e cavernosi. Le cantine che si snodano sotto l’azienda sono lunghe 450 metri ed hanno un loro particolare microclima che consente ai vini di invecchiare in barrique per anni, protetti da alghe e temperature costanti. La degustazione dei vini che segue è il compimento finale della visita: la passione che anima la proprietà è trasmessa sapientemente non solo alle persone che lavorano in azienda, ma anche ai vini. Tutti i loro nomi sono legati al mondo del padre dell’attuale proprietario, Notaio. Atto, Firma, Sigillo sono tre espressioni in crescendo di quello che questa terra regala se unita alla sapienza della vinificazione. Vini importanti, vellutati, eleganti, che rispecchiano il modo di fare della famiglia che ne conduce le scelte. Nobile il vino, nobile la cantina, nobile la famiglia.
La giornata si conclude con una camminata a Rionero, accompagnati da una coppia che invece di suggerirci l’itinerario, ci ha voluto scortare per quello che è il paese che li ha visti nascere, incontrarsi e stare insieme per 40 anni. Così riusciamo ad apprezzare un luogo che ad occhio straniero sembra malandato, fermo nella storia a 50 anni fa, ancora in recupero dal terremoto del 1980. Ma che conserva, tra le sue pietre, persone preziose, che ne abbelliscono con la sola presenza l’aspetto.
L’indomani è giunto il momento di fare visita ad uno degli amici incontrato al Prowein: Cantine Bonifacio. Michele ci sta aspettando a Venosa in un giorno di festa! L’ospitalità qui la si sente e ne siamo grati. Decidiamo di fare un percorso nuovo per raggiungerlo ed ovviamente, inesperti delle strade, ci perdiamo. Ma ne siamo felici, perché abbiamo la possibilità di scoprire la natura che circonda questo vulcano. Colline alte, dai pendii scoscesi, per nulla dolci. Distese di campi di grano che scendono dalla loro cima e che sono state piantate con direzioni diverse. Il risultato? Un susseguirsi di verdi uno diverso dall’altro. Che cambiano a seconda del vento e anche da mattina a sera, con l’imbiondirsi del grano. Come dice mio marito: “sembra il desktop di Windows!”. Già, panorami unici, degni di essere immortalati e fatti vedere in tutto il mondo! Ma non perdiamoci troppo in fermate lungo strada a fotografare quanto vediamo, perché Michele ci attende! Lui ed i suoi cavalli. La sua idea è infatti quella di unire diverse realtà lavorative a quella vitivinicola che già è presente in zona, di ampliare la possibilità ai turisti di fare esperienze diverse ed uniche; l’imprenditorialità non deve fermarsi al settore, ma coinvolgerne altri. Così la pensa e noi ci crediamo. La rete d’impresa può portare solo benefici ad una comunità che ha voglia di farsi conoscere. I vini delle Cantina Bonifacio li conosciamo già, degustati a Düsseldorf: rimasto memorabile l’aglianico vinificato in bianco Lacrima di Orazio, espressione potente di quello che è il suolo ed il sole che circonda l’azienda, confermata dai suoi fratelli rossi. L’azienda lavora tenendo separati i vari vigneti e alla strumentazione aggiunge sempre lavoro manuale, come i rimontaggi, tutti eseguiti rigorosamente a mano. Michele ci trasmette la sua passione ma ci vuole anche far vedere un po’ Venosa. E non si sbaglia! L’Incompiuta e le rovine romane a latere ci riportano alle puntate di Quark di quando eravamo piccoli ed ai film hollywoodiani ambientati nell’antica Roma. Il caldo non dà tregua, ma camminare in questo paradiso archeologico ci regala troppe soddisfazioni, soprattutto se alzando lo sguardo dalle rovine si colgono scorci di vigneti!
La serata prosegue verso Melfi, dove ci fermiamo di sfuggita, perché abbiamo già avuto una giornata intensa in mezzo a gente e cultura; adesso cerchiamo paesaggi e natura che ci circondino, per riportare i nostri spiriti a ritmo con l’ambiente. Ma se sulla strada incontriamo una sagra paesana, non riusciamo a resistere e ci fermiamo per fare due chiacchiere con una ragazza della pro loco e farci una birra fresca al tramonto. All’Agriturismo Il Riccio ci attendono per cena, quindi non tardiamo. E lì sì che possiamo rallentare i nostri ritmi ed ascoltare la natura che ci circonda, riattivando nuovamente tutti i nostri sensi.
L’indomani è il momento dei saluti ad Antonio e Stefania, perché c’è Elena Fucci che ci attende. Donna del Vulture che ha saputo reinterpretare la storia dell’Aglianico, tornando alle sue origini. Una cantina pluripremiata e all’avanguardia, condotta da una giovane che crede moltissimo nel territorio e cerca di dargli un futuro non solo facendo un vino che si racconta da solo, ma anche rispettando ciò che le consente di fare il suo mestiere. La prima cantina ad impatto zero del sud Italia, tutta costruita in bioedilizia, volta al recupero delle acque piovane e all’auto termoregolazione. Un progetto invidiabile, che aiuta e completa il lavoro fatto in vigna. La fortuna dell’azienda è che gli otto ettari che possiedono sono tutti nella parte a sud del vulcano, quella più soleggiata e ventilata, più vocata alla viticoltura. E nel corridoio che conduce alla bottaia si coglie perfettamente questa fortuna: le stratificazioni del suolo, date da accumuli di ceneri, intervallate da argilla che si formava quando l’attività del Vulture si fermava, e per poi riprendere starti di suoli vulcanici. Una ricchezza incredibile, che porta ad avere delle uve uniche. Uve trattate con gentilezza, con macerazioni brevi e metodi di affinamento che prevedono 4 travasi di barrique. Quanto assaggiamo nel calice è un Aglianico del Vulture che definirei dallo stile altoatesino, ma che ha un carattere vulcanico che i vini del Sud Tirolo non riescono a far trapelare. Stupisce, c’è poco da fare! Annata 2015, definita perfetta, annata 2016 più fresca che regala un vino più elegante. Espressioni di una mano femminile che accarezza il territorio, cogliendone i frutti profumati, ma solo quelli migliori, per poter avere una produzione tutta mirata alla qualità. Una realtà convinta del suo operato e che lo dimostra attraverso i suoi prodotti.
Da qui il nostro viaggio dei sensi prosegue verso la Calabria, decidendo di lambire appena la Campania. La differenza di paesaggio è notevole tra le tre regioni, arrivando soprattutto da una zona vulcanica come quella del Vulture. Lasciate le colline lucane, ne sentiamo subito la mancanza, con la sue luci e i mille verdi che ci hanno accompagnato nelle nostre visite.
Non appena giungiamo in Calabria, però, la malinconia che ci attanaglia è subita messa da parte. I nostri sensi sono scossi da un paesaggio che non ci aspettavamo: papaveri, alberi, campi e, non appena scorgiamo il mare, decidiamo di immergerci completamente nell’atmosfera abbassando il finestrino dell’auto. Ma un profumo tutto particolare ci investe prepotentemente. Cos’è? Lo riconosco, ma non mi ricordo…gelsomino? Mmmm glicine, sì, glicine! Mmmm aspetta, aspetta. Distolgo lo sguardo dal mare e sbam: agrumeti a perdita d’occhio! I sensi sono in estasi. Il profumo di zagara penetra fino all’osso e inebria la mente di ricordi. La Calabria per me sarà per sempre collegata al profumo di zagare.
Ma questa è un’altra parentesi, che affronteremo nel terzo ed ultimo episodio di questo fantastico viaggio dei sensi. Nel frattempo, procuratevi un profumo che contenga fiori di zagara e capirete quanto vi ho raccontato.
Claudia