Sforzato o Sfursat della Valtellina
Un nome decisamente strano, che stenta a rispecchiare l’eleganza che rappresenta, ma decisamente fa capire quanto sia impegnativa la sua produzione: lo Sforzato di Valtellina, vino rosso tra i più nobili d’Italia.
Questo vino è, il primo passito rosso secco d’Italia a potersi vantare della DOCG, simbolo di una viticoltura eroica che ha forgiato non solo il carattere e le mani della gente che ne coltiva le viti, ma ha mutato anche l’aspetto del territorio in cui si sviluppa. La parte della Valtellina, in cui lo Sfursat è prodotto, è famosa per il paesaggio attraversato da terrazzamenti, fatti di muretti a secco di pietra bianca, che hanno consentito e migliorato la coltivazione della vite. La provincia di Sondrio vi guiderà attraverso i 2.500 km che li compongono tramite alcuni percorsi perché, come sempre, vi consigliamo di andare a toccare con mano il territorio, ma soprattutto a mettere naso e bocca direttamente in cantina!
STORIA
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Quest’area della Lombardia, che circonda il fiume Adda nella provincia di Sondrio, valle congeniale all’allevamento delle viti di Chiavennasca o Nebbiolo lombardo, ha un rapporto con la viticoltura molto remoto, ma non si è ancora stato in grado di datarne l’introduzione. Certo è che già in che epoca romana, ma addirittura celtica e longobarda, la vite era ben conosciuta.
Si ebbero maggiori sviluppi e testimonianze scritte con il Medio Evo ed il controllo della zona da parte del Monastero di Sant’Ambrogio di Milano, coi suoi “magistri comacini” e monaci benedettini.
Il momento più propizio del passato della coltura della vite in Valtellina però risale a quello in cui la regione era sotto il governo Svizzero con la Lega Grigia, che incrementò la produzione di vino per il commercio che aveva con le corti europee a nord dell’Italia.
Ma il primo che parlò di Sforzato fu Ortensio Lando (ca 1510 – ca 1558), che lo descrisse come uno dei migliori vini che si possano bere al mondo, ottenuto da “uve sgonfiate”, ossia appassite.
Lo Sforzato era quindi già all’epoca il risultato della vinificazione di uve lungamente appassite in solaio sino a perdere, per disidratazione naturale, e con il 2003 e l’introduzione della DOCG c’è una rigida disciplina che ne regola coltura, vinificazione ed invecchiamento.
LEGISLAZIONE
Attiva o disattiva titolo
La denominazione prevista è, rispetto a tante altre DOCG, molto semplice, prevedendo due diciture per questo vino, che sono però sinonimi:
- SFORZATO DI VALTELLINA o SFURSAT DI VALTELLINA: vino rosso prodotto con uve appassite provenienti al 90% da Chiavennasca o Nebbiolo lombardo e ad un 10% di altre uve rosse provenienti dalla medesima zona e di questa tipiche
VINIFICAZIONE
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La vendemmia avviene con un’attenta cernita dei grappoli, che devono presentarsi maturi con circa 18%-20% di zuccheri, assolutamente sani e con acini ben divisi. In seguito i grappoli sono posti a riposo in genere fino alla fine di gennaio, ma in qualche annata si può arrivare fino a febbraio/marzo, a causa del freddo invernale. In questo momento gli acini arrivano a perdere fino il 30% dei liquidi contenuti, appassendo e a concentrando i propri succhi fino a raggiungere un’elevata concentrazione zuccherina.
A questo punto si procede con la pigiatura, che per disciplinare non potrà mai essere antecedente al 10 dicembre, alla quale segue il periodo di invecchiamento di almeno 20 mesi, di cui minimo 12 in botti di legno. Chicca da sapere è che è obbligatorio segnare su ogni bottiglia la data di produzione delle uve e devono avere forma bordolese o borgognotta.
NOTE ORGANOLETTICHE
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Quel suo rosso cupo, ma trasparente, fa subito venire in mente le pietre più preziose, come il rubino, con accenti di riflessi granati, sempre a seconda della sua età. Il colore tipico del Nebbiolo è leggermente mascherato dalla concentrazione delle sostanze coloranti dovuta all’appassimento, ma di certo le sue nobili movenze non passano inosservate.
Quello che emerge dal bicchiere ed arriva a coinvolgere l’olfatto è un bouquet di profumi talmente vasto, che noi sommelier lo definiamo ampio: frutta rossa matura, piccole bacche, fiori appassiti, frutta sotto spirito, tabacco, cuoio, spezie…è un vino assolutamente da provare una volta nella vita, proprio perché in grado di riportare alla memoria i più svariati aromi.
E come descrivere la sensazione che invade il palato? Un manto di velluto porpora che accarezza le papille con una sorta di polverosità e rotondità, che però lascia spazio ad un’armonia incredibile data da un gioco di equilibri di freschezza e morbidezza, sapidità e nota alcolica decisamente sostenuta. La complessità dimostrata al naso si ritrova quindi a ragione anche in bocca, lasciando un retrogusto piacevolissimo di frutta appassita, proprio quella da cui è prodotto. Un vino definibile aristocratico in tutti gli aspetti che lo compongono.
Gli abbinamenti sono perfetti con i piatti tipici della Valtellina, quali spezzatini di cacciagione, come cervo, o selvaggina anche da piuma, l’importante è che siano accompagnati da una buona polenta; o perché no, al posto di spezzatini, brasati di manzo o vitello che prevedano abbondanti e ricche salse, anche speziate. Mi riporta molto alla mente una cucina anche un po’ medievale, in cui pepe, chiodi di garofano e noce moscata la facevano da padrona. Lo si può abbinare anche ad un formaggio stagionato, magari aromatizzato al pepe. Ma ineguagliabile sarà accanto ad un caminetto circondati da amici con cui filosofeggiare e ridere.
SERVIZIO
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L’eleganza che questo vino offre può essere perfetta per tirarsi su di morale o per rapire il cuore di qualcuno. Rigorosamente servito in calici baloon tra i 16à ed i 18°.